La psiche nella fiaba
Chi di noi non ha mai sentito parlare di fiabe? Chi di noi, da bambini, non ha mai letto o ascoltato una fiaba?
Tuttavia le fiabe non sono fatte solo per un pubblico di piccoli lettori poichè contengono elementi che si prestano a diverse chiavi di lettura. Esse racchiudono elementi della psiche umana. La psiche umana si è da sempre palesata nei numerosi racconti del genere umano, tramandati oralmente, ricchi di immagini e simboli.
Le fiabe, secondo Marie Louise von Franz (celebre psicoanalista e ricercatrice svizzera ) riflettono chiaramente i modelli fondamentali della psiche, poichè rappresentano gli àrchetipi nella loro forma più semplice. Secondo lo psicoanalista inglese D. Winnicott nessuna fiaba o fumetto dell’orrore potrebbe riscuotere tanto successo se non facesse presa su qualcosa di già connaturato sia negli adulti che nei bambini. La fiaba, sostiene Winnicott, funziona facendo presa su qualcosa che è già vero, che fa paura e risulta inaccettabile.
Come nascono le fiabe? Secondo la von Franz eventi psicologici rappresentano la fonte ed il fattore che mantengono in vita i motivi del folklore, cioè credenze popolari già presenti nel luogo. La psicoanalista era solita dire: “quando accade qualcosa di strano, se ne chiacchiera, si diffonde la voce, e come sempre, in circostanze favorevoli, lo spunto viene arrichito da rappresentazioni archetipiche già esistenti e diventa lentamente una storia“.
Le fiabe sono quindi un’astrazione derivante da una leggenda locale che ha assunto nel corso del tempo una forma cristallizzata, così da poter essere meglio ricordata e tramandata. In origine, secondo la von Franz, gli adulti erano interessati alle fiabe. Le cose cambiarono quando lo sviluppo di una visione razionale e la banalizzazione dell’irrazionale portarono a considerare le fiabe come assurdi ed irrealistici racconti di vecchie, adatti solo a divertire i bambini.
La “psicologia analitica junghiana”, di cui la von Franz fu grande divulgatrice, ha permesso di penetrare il senso più profondo delle fiabe accogliendone, tradotte in linguaggio moderno, insegnamenti e benefici che nel corso del tempo queste hanno trasmesso. I motivi fiabeschi divengono immagini archetipiche attive nella vita di ognuno di noi, come dimostrato dai sogni dei molti pazienti analizzati da Marie Louise von Franz e Carl Gustav Jung. Le fiabe quindi hanno avuto origine da vere e proprie esperienze interiori. Esse esprimono contenuti inconsci per i quali la mentalità collettiva non possiede un linguaggio, perciò talvolta i personaggi assumono nomi strani o in alcuni casi nessun nome.
Le fiabe rispecchiano la struttura più semplice e fondamentale della psiche a differenza del mito che invece rappresenta il prodotto di una cultura nazionale. Essendo più vicino alla coscienza ed al materiale storico conosciuto il mito risulta di più facile interpretazione rispetto ai racconti popolari fiabeschi.
Un altro noto psicoanalista Bruno Betteleheim afferma che miti e fiabe ci parlano attraverso il linguaggio dei simboli che esplicitano un contenuto inconscio. Essi fanno appello alla nostra mente conscia ed inconscia in tutti e tre i suoi aspetti: Es, Io, Super-Io.
Secondo la psicologia analitica junghiana attraverso le fiabe era possibile raggiungere uno stato di rinnovamento interiore facendo leva sull’azione di forze inconsce personali. Bettelheim è d’accordo con questa idea di intendere la fiaba. Inoltre egli sostiene che la maggior parte delle fiabe nacque durante momenti storici in cui la componente religiosa era una componente fondamentale nella vita degli individui. Le novelle delle Mille e una notte ne sono un esempio in quanto raccolgono storie ricche di riferimenti alla religione islamica.
La matrice folkloristica delle fiabe evidenzia quindi problematiche inconsce non elaborate dalle popolazioni locali. Il confronto con l’esperienza archetipica, laddove venga elaborata e digerita, permette al soggetto o ad un intero popolo un vero e proprio “rinnovamento psichico”.
Un altro genere di racconti degni di essere ricordati riguardano le storie di animali. Nella maggior parte dei casi si tratta di essere “antropomorfi”, cioè dalla forma umana. Sarebbe pertanto corretto definirli “animali simbolici” cioè portatori di proiezioni di fattori psichici umani. Gli animali delle fiabe sono umani perchè rappresentano i nostri istinti animali.
Alcuni ricercatori affermano che le storie di animali siano le storie più antiche mai esistite. Esse sono molto frequenti nelle tradizioni popolari, sono inoltre le preferite dai bambini.
Uno dei motivi che spesso incontriamo nella fiaba riguarda la nascita miracolosa dell’eroe. Questa modalità di venire al mondo è un’idea universale. Per la von Franz l’aspetto irrazionale della nascita dell’eroe (o eroina) è una chiara prova che i personaggi delle fiabe non si identificano con esseri umani ma con contenuti psichici. Considerati più da vicino, infatti, i personaggi secondo la von Franz non sarebbero in realtà esseri umani. Questo testimonia come la psiche nella fiaba abbia un ruolo fondante la fiaba stessa.
Nel corso della vicenda di un racconto fiabesco quasi mai si fa parola della vita interiore e soggettiva del fanciullo o della fanciulla protagonista (ad esempio nella Bella Addormentata la protagonista nasce in modo miracoloso, cresce e s’addormenta, si sveglia e si sposa, tutto è svolto in maniera “impersonale”). A detta della von Franz i personaggi delle fiabe sono immagini di processi archetipici ai quali manca un contesto umano, una vita reale e concreta. Questi personaggi simbolici funzionano come modello di un comportamento migliore e più adulto, cioè come proiezioni di un Sè ancora ad uno stato “potenziale”. Quando ci troviamo dinanzi ad un Io ancora debole e vulnerabile, come nel bambino, queste proiezioni ne permettono un rafforzamento ed un adattamento migliore grazie alla connessione con un Sè ancora in divenire. La von Franz vede il Sè come una possibilità virtuale e latente, una realtà in potenza che ha bisogno della vita concreta e cosciente, con le sue tragedie, i suoi conflitti e le sue soluzioni, per diventare, ad esempio, reale come la Bella Addormentata che attende solo di essere svegliata.
In conclusione possiamo dire che le fiabe risultano essere storie collettive e non personali. Esse riflettono aspetti psichici caratteristici della nostra civiltà, riguardanti sia il maschile che il femminile.
Riferimenti bibliografici:
- D.W. Winnicott – Colloqui con i genitori (1993)
- C.G. Jung – L’uomo e i suoi simboli (1964)
- C.G. Jung – La psicologia dell’inconscio (1917/1943)
- B. Bettelheim – Il mondo incantato (1975)
- M.L. von Franz – Le Fiabe interpretate (1970)