Trovare un posto nel mondo: il senso della terapia
“Al primo colloquio trovo dinanzi a me un uomo bassino, direi sulla cinquantina, quasi del tutto calvo. Indossa occhiali da vista, di media corporatura e dallo sguardo visibilmente spento e stanco. L’abbigliamento trasandato e molto poco ricercato stimolava in me l’idea di un uomo molto più vecchio della sua età effettiva. Poi mi sorprende, quasi come una nota stonata, la spontaneità e la sicurezza con cui si sfila il giubbino e maneggia il cellulare per alcuni secondi prima di entrare nello studio.”.
Come solitamente accade il paziente è consapevole della sua malattia ma non del malessere che ne è alla base. Più volte infatti il soggetto fa riferimento alla “depressione” la quale sembra divenire per lui stesso una buona giustificazione per le scelte di vita intraprese (quali separazione coniugale, allontanamento dei figli, difficoltà lavorative).
L’idea che in me stimola S. (questo il nome del paziente) è quella di un uomo deluso, frustrato; un uomo desideroso di amore e affetto ma per nulla riconoscente di ciò che la vita gli ha donato. Le informazioni raccolte e l’atteggiamento di S. producono in me pensieri antitetici, alcuni di essi lo definiscono un uomo triste, depresso, angosciato altri invece lo dipingono come un uomo-bambino in cerca di rassicurazioni, impaurito, diffidente ma curioso ed appassionato. La doppia visione che mi si prospetta forse coincide con una diagnosi di depressione da un lato e con una di disturbo di personalità dall’altro, i cui tratti distintivi sembrano essere rappresentati dalla dipendenza nei confronti del materno, dall’ansia riguardo al lavoro e dalla incapacità nell’intrattenere relazioni inter-personali (come nel caso del disturbo dipendente ed evitante di personalità il cui aspetto principale è la presenza di ansia).
S. è un soggetto che cerca aiuto, a patto che si condivida con lui il proprio dolore, le proprie ansie, le proprie angosce. È un uomo che da l’impressione di non voler assumersi le proprie responsabilità di lavoratore, di marito e di padre. Pare imprigionato e ben incastrato nella condizione di figlio. S. cerca come un adolescente sesso e amore, tuttavia gli si prospettano esclusivamente donne che nutrono altri tipi di aspettativa (idea di famiglia come nel caso della ex moglie, sostegno morale come nel caso dell’attuale fidanzata, supporto fisico come nel caso della madre malata).
S. e chi come lui vive disagi simili dovrebbe recuperare la sua vita, quella che ora gli è scivolata tra le mani, quella che ora pare aver perso il senso. Il paziente dovrebbe ritornare ad essere protagonista della propria esistenza abitando quel mondo che ora pare rifiutare. “Abitare”, sostiene Galimberti, non è conoscere ma sentirsi a casa propria. “Abitare” è trasfigurare le cose, caricarle di senso. Per S. e per tutti quelli che vivono simili condizioni psicopatologiche le cose del quotidiano pare abbiano perso il loro valore (il lavoro, un tempo per lui fonte di gratificazione, ed il matrimonio, desiderato e poi risultato fallimentare). Questa incapacità di inserirsi nel mondo e di abitarlo si traduce nella malattia; da soggetto di intenzione si diventa oggetto intenzionato e S. che un tempo viveva per il mondo si trova improvvisamente a vivere il suo corpo, fatto di disagi e disturbi fisici poiché disturbato è tutto il modo di essere al mondo, un modo più debole, più apprensivo, più pauroso.
Gradualmente S. dovrebbe essere supportato e sostenuto in questa delicata fase di vita che porterà come conseguenza l’inevitabile allontanamento “fisico” dalla madre anziana e malata. L’elaborazione di un lutto di tipo relazionale (come quello materno), attinente anche alla sfera intrapsichica, può avvenire attraverso un percorso di colloqui in cui si dia maggior rilevanza alle tecniche trattate da Kernberg; quali quella di tipo supportivo finalizzata a sostenere un IO attualmente disadattivo, e quella di tipo espressivo (attraverso interpretazioni, chiarificazioni e confrontazioni) allo scopo di slegare quei nodi conflittuali che in S. ed in soggetti con patologia simile si annidano soprattutto a livello somatico (come dolori genitali, coliche, influenze passeggere, mal di schiena, spossatezza). Stare insieme nel dolore ma gradualmente interpretare e chiarire quelle scelte di vita da cui S. si è da sempre deresponsabilizzato allo scopo di renderlo di nuovo protagonista di una vita che ora subisce e di cui pare essere vittima.