Il setting come “contesto” della psicoterapia
Il setting affonda le proprie radici nella psicoanalisi freudiana. E’ parte della tecnica psicoanalitica e a sua volta la sostanzia. Nato con una funzione prevalentemente normativa, oggi lo possiamo intendere come il “contesto” all’interno del quale avviene l’incontro tra terapeuta e paziente. Ad esso appartengono aspetti materiali, relazionali, emotivi ed organizzativi dell’intervento psicologico.
A livello mitologico è possibile trovare un corrispondente simbolico del setting nell’isola Tiberina situata sul fiume Tevere. Essa in un remoto passato rappresentava un luogo fisico e psichico di cura. Già nel 293 a. C. i sacerdoti dell’isola, ai quali era affidata la cura dei pazienti, avanzarono l’idea secondo la quale le dimensioni interne (psichiche/relazionali) e le condizioni esterne (fisiche/materiali) dell’isola dovevano essere sincronizzate per condurre il paziente alla guarigione.
In questo luogo sorgeva un tempio, accanto alla statua del dio greco della medicina. Intorno al tempio vi erano alcuni portici. Questi offrivano il ricovero ai malati che erano sottoposti alla pratica dell’ ”incubatio”. Tale pratica di cura consisteva nel dormire e digiunare per alcuni giorni allo scopo di purificarsi. Alla cura del corpo faceva seguito la cura della mente attraverso il racconto dei propri sogni, i quali venivano poi interpretati dai sacerdoti competenti nel formulare una diagnosi, curare il malato e prevedere il decorso della malattia.
Nel corso della storia della psicologia il setting ha assunto specifiche caratteristiche in relazione ai principali orientamenti teorici. Ogni approccio terapeutico ha infatti costruito il proprio setting coerentemente ai propri assunti di base ed in modo funzionale ad uno specifico lavoro terapeutico. Aspetti organizzativi, materiali (numero di sedute, la posizione di paziente e psicoterapeuta, spazio fisico per l’incontro) e relazionali (gestione delle emozioni, interazione di tipo fisico, comunicazione verbale e non verbale) differiscono a seconda delle varie declinazioni che il setting può assumere in psicoterapia.
Nel setting si intrecciano la storia di vita del paziente, quella del terapeuta e quella generata dal loro reciproco incontro. La relazione che si instaura diventa strumento conoscitivo, trasformativo e generativo. Le emozioni all’interno della relazione terapeutica e del setting sono inevitabili e rappresentano un elemento di grande importanza che va accolto, elaborato e restituito dal terapeuta al paziente attraverso una funzione di “alpha-rèverie”. Il setting deve comprendere uno spazio in cui sia possibile esprimere e contenere le emozioni per poi elaborarle, mentalizzarle e non agirle attraverso uno scarico emozionale fine a se stesso. Le emozioni sono elementi onnipresenti nella vita relazionale di ognuno di noi. A tal proposito la possibilità di poterle elaborare all’interno del setting grazie alla figura di un professionista permetterà di sostenere e regolare anche la relazionalità sociale del paziente.
Nella psicoanalisi freudiana il setting è un elemento centrale ed ha un importanza tale da identificarsi sovente come metodo psicoanalitico. Il setting definisce un contesto clinico ed è delimitato da precisi confini. La questione del setting ha interessato da sempre la storia della Psicoanalisi. Scrive Freud: “la psiche è estesa, di ciò non se ne sa nulla” (Freud, 1938). Questa enigmatica e lapidaria formulazione, in una nota del 1938, sottolinea la dimensione spaziale della psiche la quale è anche corporea. Essa ha quindi bisogno di uno spazio e di una durata sufficientemente lunga della seduta da assimilare ad una vera e propria esperienza sensoriale.
Uno degli aspetti fondanti il setting è sicuramente “lo sguardo”. Esso ha un’importanza fondamentale nella costruzione del setting “vis à vis”. La psicoterapia si svolge tra due soggettività a confronto, quella del paziente e del terapeuta. Tale tipologia di setting viene inaugurata, per la prima volta, dalla psicoterapia dialettica di Carl Gustav Jung. Seconda la concezione junghiana è solo in questo modo che la comunicazione tra paziente e terapeuta diviene “integrata” convergendo il verbale ed il non-verbale. Si tratta di una vera e propria “psicologia dello sguardo”. Lo sguardo è un dispositivo, uno strumento con un potente significato psicologico. Esso affonda le sue radici nel proprio Sé che struttura il modo di guardare il “fuori” e il “dentro”. Quando lo sguardo tra paziente e psicoterapeuta si fa esperienza allora esso si trasforma in una comunicazione autentica e solidale con l’altro. Lo sguardo, inoltre, ha una molteplicità di significati meta-psicologici che da sempre hanno interessato e stimolato riflessioni di carattere filosofico ed antropologico.
Freud, diversamente da Jung, non trovava utile e funzionale al trattamento l’utilizzo dello sguardo quale strumento di cura. Nel suo saggio Inizio del trattamento del 1931 scriveva: “Non sopporto di essere guardato dagli altri per otto ore (o più) al giorno”.
A seconda di come qualcuno ci stia guardando il nostro cervello reagisce alle emozioni espresse dal viso di quella persona. In particolare il tipo di sguardo influisce sull’amigdala del sistema prefrontale limbico, regione del cervello preposta alla regolazione delle emozioni.
La mimica espressiva rappresenta, pertanto, un linguaggio spesso molto più eloquente delle parole verbalizzate. Molti pazienti potrebbero allora temere di essere giudicati dal loro psicoterapeuta attraverso lo sguardo e le espressioni mimiche facciali ad esso associate. Tutto ciò contrasta con l’idea di sospensione del giudizio tipica di un setting contenitivo e tutelante. Tuttavia il discorso risulta molto più complesso di quel che sembra. Se il setting nasce per soddisfare le finalità terapeutiche non possiamo sottovalutare la varietà delle patologie psichiche con cui il professionista potrebbe confrontarsi, ciascuna delle quali pare richiedere un trattamento specifico ed individuale. Allora il setting diviene un contenitore di significati adattabili al singolo paziente che trova nel concetto di relazione che cura il suo nucleo fondativo.
Freud ha il merito indiscusso di aver individuato un nuovo tipo di cura che ha trovato nella Psicoanalisi la sua forma moderna e di cui il setting risulta strumento operativo. Jung, diversamente dallo psicoanalista austriaco, pare focalizzare l’attenzione sull’aspetto sacro del setting al punto tale da definirlo una sorta di predisposizione innata o archètipo specifico. Lo psicoanalista svizzero dirà a tal proposito: “E’ persino in gran parte indifferente quale tecnica egli (lo psicoterapeuta) impieghi, perché non è importante tanto la tecnica quanto in primo luogo la personalità che applica quel certo metodo. “
Per Jung lo psicoterapeuta diviene artista che cura l’individuo come se questo fosse un opera d’arte. Tuttavia l’opera d’arte non è una malattia ed allora richiede un orientamento del tutto diverso da quello medico. Il professionista non cercherà di sapere quali siano le condizioni umane che hanno preceduta la patologia, poiché tale interrogativo risulterà superfluo per l’opera d’arte; cercherà invece il senso dell’opera stessa.
Il setting analitico junghiano esprime bene l’esigenza di potersi inventare creativamente nella relazione col paziente, per poter meglio entrare in sintonia con quest’ultimo e favorirne un cambiamento positivo. L’idea è quella di concepire la psicoterapia non solo come scienza ma anche come arte. La costruzione di un setting adeguato permette allora di accettare e tutelare anche l’incertezza: è quest’ultima che apre le porte alla creatività, all’immaginazione e quindi al mondo delle possibilità.
La complessità della natura dell’uomo, i dinamici fenomeni psicologici che si verificano incessantemente nella sua psiche non permettono, pertanto, la comprensione di un universo così variegato e contraddittorio avendo a disposizione un unico metodo o un setting rigidamente strutturato e definito a priori.
Riferimenti bibliografici:
- Francois Richard – L’incontro psicoanalitico, 2014
- Sigmund Freud – Inizio del trattamento, 1931
- Carl Gustav Jung – Opere vol.10, 1998
- Carl Gustav Jung – Scritti scelti, 2007