4 Dicembre 2019

La cura attraverso la psicoterapia fenomenologica

 

 

La fenomenologia come concetto filosofico trova la sua origine e teorizzazione nel pensiero di Edmund Husserl (1859-1938), il quale formulò i principi della dottrina fenomenologica:

 

  • Il mondo sensibile non è del tutto evidente alla nostra coscienza, quindi è giusto dubitarne; ma il mondo sensibile appare (fainomai da cui “fenomenologia”) alla nostra coscienza, questo è indubitabile. In altre parole, il metodo fenomenologico si basa sulla “sospensione di giudizio” (epoché), ovvero viene messa “tra parentesi” l’esistenza del mondo: non si deve cioè accettare alcunchè come scontato, ma avvolgere ogni cosa nel dubbio (col paradosso cartesiano per cui “posso dubitar di tutto ma non del fatto che sto dubitando”), sapendo che quello che percepisco coi sensi è quello che appare, non necessariamente quello che è. Non posso però dubitare né di me come soggetto dubitante né delle percezioni che ricevo: l’atteggiamento fenomenologico si configura come un “puro guardare”, o come “ritorno alle cose stesse“.
  • Lo “sguardo puro” della coscienza produce dati assoluti che vengono intenzionalmente riferiti a qualcosa che è reale e oggettivo, ma in senso “trascendente”. La coscienza è coscienza “di qualcosa”, ha cioè necessariamente un oggetto, e tale oggetto non può essere la realtà oggettiva (esistenza), bensì il dato assoluto (essenza). Grazie alla “riduzione fenomenologica”, il mondo intero è ridotto a pure essenze della cui empirica non ci si cura: la fenomenologia è per l’appunto scienza dei puri fenomeni quali ci si donano incessantemente alla coscienza.

 

In un paziente caratterizzato da una buona e adattiva organizzazione emotiva l’approccio fenomenologico si realizza prioritariamente sull’osservazione del sintomo in quanto strumento per comprendere il modo di essere al mondo della persona cioè il modo di essere al mondo di questo “chi” di fronte al “che cosa” della propria vulnerabilità  (come riferisce lo psichiatra e psicoterapeuta  G. Stanghellini). Nell’approccio fenomenologico il sintomo non sta per qualche altra cosa e non deve interessare allo psicoterapeuta il fatto che esso sia metafora di altro (come invece potrebbe suggerire un approccio psicodinamico o psicoanalitico); così facendo infatti possiamo finire per eludere le parole del paziente poiché siamo alla ricerca di che cosa si sveli dietro ad esse. Questo modo di intendere il rapporto con il paziente genera una “simmetria” nella relazione, elemento funzionale alla creazione di fiducia nel terapeuta. Il terapeuta fenomenologo deve far si che il paziente si assuma la responsabilità di pensiero e di parola. In un secondo momento sarà possibile indagare collaborativamente se la parola del paziente sia dotata di “intenzionalità” (altro concetto fondamentale nell’approccio fenomenologico).

Il racconto, come storia di sè, rappresenta  un’ulteriore mezzo per comprendere fenomenologicamente l’altro attraverso un linguaggio più profondo, introspettivo, multidimensionale e quindi di gran lunga più umano. Il terapeuta fenomenologico  acquisisce e racconta un punto di vista sulla base della storia che il  paziente gli ha riferito. Il racconto però non è una  riformulazione perché diversamente da questa deve rendersi scevro da qualsiasi residuo di autorevolezza che invece la manomissione dell’intervento terapeutico potrebbe determinare. Obiettivo dello psicoterapeuta diviene allora raccontare la storia del paziente in un’altra prospettiva. Riconoscere in quanto tale la prospettiva dello psicoterapeuta come altro diverso da sé stesso stimola l’assunzione della responsabilità del proprio punto di vista e quindi della propria prospettiva di vita. Tutto ciò permette un confronto e un dialogo che rompe la routine del racconto e quindi il suo aspetto di “ripetitività” che risulta essere anche elemento peculiare del sintomo.

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