22 Luglio 2016

L’elaborazione di un lutto

Digraziatamente ognuno di noi ha vissuto nella propria vita la morte di una persona cara, a cui si era affettivamente legati. Ci si chiede il perchè di una tale sciagura, soprattutto nei casi in cui ciò sia stato determinato da una situazione imprevedibile, catastrofica. La vita è un dono ma spesso lo si percepisce in tale modo solo in presenza di vissuti che stimolino in noi certe riflessioni.

Accade di sovente che soggetti dolenti per la morte del proprio caro vengano “bonariamente” isolati dalla collettività, la quale manifesta imbarazzo e intolleranza nei confronti della morte e di coloro che, come in tale caso, la ricordano. I soggetti sofferenti, di contro, hanno l’esigenza di esplicitare pensieri, emozioni, ricordi personali, di dire ciò che pensano riguardo al tema della morte proprio ora che quel momento sta riguardando loro in prima persona. Per tutta la vita si cerca di eludere tale argomento o perlomeno anche se oggetto di conversazione e di cronaca quotidiana esso viene trattato con oggettività ed un certo distacco, fino a che non accade nella propria vita un evento tragico.

Il tema della morte strettamente connesso a quella della vita,  in tempi passati, era oggetto di profondi ed introspettivi dibattiti. Basti pensare alle civiltà egizia, greca, etrusca le quali avevano a cuore il tema della morte al punto tale da basare su di esso tutta la propria vita. In onore della morte erano soliti compiere riti e cerimonialiAllora il  “rito” ero lo strumento privilegiato all’elaborazione di un lutto. Esso permetteva di sostenere l’annullamento e l’angoscia scatenati da un tale evento nefasto attraverso il messaggio latente secondo il quale la morte è vista esclusivamente come separazione fisica e corporale. Cerimoniali e riti di tali fattezze sono attuati in modo più blando e formale ancora oggi dagli organi ecclesiastici. Tuttavia la mancanza di una formazione introspettiva adeguata fa si che il soggetto dolente non dia il giusto valore ad un tale rito; ciò nonostante la sua azione risulta assai utile per interpretare e sdrammatizzare un simile evento tragico.

Con il termine “lutto” si intende quel periodo di tempo necessario ad un individuo per elaborare la morte di un proprio caro. Gli psicologi solo recentemente hanno ripreso e trattato il tema del lutto. Fino agli anni ’90 infatti essi non entrano nel merito della questione nonostante Freud e Bowlby avessero elaborato anni addietro vere e proprie teorie al riguardo, rispettivamente l’elaborazione del lutto e la teoria dell’attaccamento.

Freud affermava che il lutto presupponeva necessariamente un lavoro su sè, attraverso il quale era possibile elaborare la morte di un caro; Bowlby sosteneva l’idea seconda la quale la reazione al lutto sarà sempre conforme all’assetto di personalità dell’individuo che lo sta vivendo. In seguito J.W. Worden, psicologo clinico, discusse il tema del lutto investendo il soggetto dolente di un ruolo attivo. Secondo Worden il lutto è un processo fisiologico di vita ed in quanto tale per essere superato non esige una scelta consapevole da parte del soggetto. Ciò nonostante vi sono 4 compiti  (accettare la perdita, fare esperienza del dolore, adattarsi al nuovo contesto, interiorizzare il defunto andando avanti con la proria vita) che intervengono necessariamente in questa fase, la cui piena esperienza determina l’elaborazione della perdita.

Colei che più di tutti ha trattato il tema del lutto e della perdita è senz’altro la psichiatra svizzera Kubler Ross la quale ha cercato di individuare, attraverso le esperienze con numerosi malati, le dinamiche mentali vissute dal soggetto a cui gli si sia stata diagnosticata una malattia terminale.  Il modello messo appunto nel 1970  dalla Ross consta di 5 fasi. Molti psicoterapeuti hanno poi constatato che tale modello è valido ogni volta che ci sia da elaborare un lutto, affettivo o ideologico che sia.  La prima fase è quella del rifiuto e della negazione, il soggetto non accetta ciò che gli è accaduto; nella seconda fase si fa esperienza della rabbia, la quale viene riversata su di sè o sulla persona defunta; nella terza fase si cerca di reagire all’evento cercando possibili risposte e soluzioni; la quarta fase è un momento di resa in cui ci si rassegna emotivamente e razionalmente alla tragicità dei fatti; la quinta e ultima fase è volta alla riconciliazione con la realtà (per ulteriori approfondimenti ti invito a consultare  il-ruolo-della-famiglia-nel-paziente-oncologico.)

La morte di un caro può manifestarsi in differenti modi, conseguenza di ciò possono essere variegati sintomi che il soggetto dolente incamera e somatizza. In questi momenti è fondamentale e funzionale l’utilizzo della comunicazione, la quale può attivare dimensioni e risorse personali a noi sconosciute.  Comunicare con un soggetto in coma ad esempio può stimolare i canali sensoriali che a noi appaiono sopiti. Con coloro che si prendono cura del malato è auspicabile organizzare spazi condivisi attraverso cui stimolare l’esternazione di angosce, paure, pensieri ed emozioni riguardanti l’esperienza presente.

In tali momenti di impotenza e passività lo psicologo è un valido aiuto, non solo attraverso l’esercizio clinico e teorico ma anche e soprattutto attraverso una buona pratica, fatta di dialogo, spazi ed attivazione di risorse personali.

 

Riferimenti:
Il lutto tra elaborazioni, riti e supporto psicologico Ordine degli Psicologi della Regione Campania

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